Ritrovare il suo
padrone
Di tanto in tanto sugli organi
di stampa viene riportata la stupefacente avventura di un
gatto ( o anche di un cane) che ha percorso centinaia di
chilometri per ritrovare il proprio padrone. Gli esempi a tale
riguardo sono numerosissimi. Nell’ aprile del 1977, in
Francia, un gatto di nome Pomon si presentò ai suoi padroni,
residenti a Fontainebleau: era partito,
pare, due anni prima, da Sary, nel dipartimento di Var,
situato a ben 900 chilometri di distanza. Nel 1978, sempre in
Francia, presso Vierzon, un altro gatto, Minouche, scappato
dall’ auto dei suoi padroni ritornò alla loro abitazione, a
Dole, a ben oltre 400 chilometri di distanza; il povero
Minouche era smagrito e aveva tutte le unghie consumate. In
Australia, circa una dozzina di anni fa, un gatto avrebbe
percorso addirittura 2400 chilometri per ritrovare la casa del
padrone, che l’aveva smarrito mentre si trovava in campeggio;
costui raccontò: <<Era molto sporco e di una magrezza
spaventosa, ma appena lo chiamai per nome i suoi occhi si
illuminarono e cominciò a fare le fusa>>. Questi episodi
acquistano un importanza notevole se si considera che il gatto
non è per nulla portato a compiere delle lunghe camminate. Una
delle storie più raccontate, a tale proposito, è quella del
Persiano Sugar, che viveva in California con i suoi padroni.
Un giorno questi signori, avendo deciso di trasferirsi in
Oklahoma, partirono dopo aver sistemato Sugar nel vano
posteriore dell’automobile. Solo dopo diverse ore di viaggio,
essi si accorsero che il gatto era sparito: evidentemente era
saltato giù da un finestrino rimasto aperto. Rassegnati, i
proprietari di Sugar continuarono il viaggio e raggiunsero la
loro nuova residenza. Un giorno, dopo ben quattordici mesi,
gli ex padroni di Sugar videro entrare un gatto dalla finestra
della cucina; la prima cosa che fece la bestiola fu di saltare
in braccio alla padrona di casa: era Sugar, riconoscibile da
una malformazione all’anca, che aveva percorso circa 2500
chilometri! Nel suo libro Làme des animaux (L’anima degli
animali) lo scrittore Jean Prieur riferisce la sbalorditiva
avventura della gatta Amado, la quale percorse appena 25
chilometri, ma compì ugualmente un’impresa eccezionale se si
tiene presente che era cieca. La gattina apparteneva a una
vecchia contadina della Provenza la quale, ritenendosi
prossima a morire, l’aveva affidata a un’amica residente a 25
chilometri di distanza, sull’altra sponda del Rodano. Quindici
giorni dopo, l’ex proprietaria di Amado, avendo sentito un
miagolio davanti alla porta di casa, andò ad aprire e
riconobbe la sua Amado, ridotta in condizioni pietose,
magrissima, tutta inzaccherata e con le zampine insanguinate.
Come aveva potuto questa gatta cieca trovare la strada del
ritorno, tenendo presente che nella zona, per un tratto di 20
chilometri, non esiste che un solo ponte per attraversare il
Rodano? Questi esempi
citati, sol alcuni fra i moltissimi esistenti, portano dunque
ad ammettere che il gatto possiede le capacità di ritrovare il
suo padrone. Il caso più frequente, quello del gatto che
ritorna al suo precedente domicilio, è forse quello più
spiegabile: l’animale vuole ritrovare i suoi padroni, spinto
com’è dalla fame dall’inquietudine, dall’affetto e dal
desiderio di riavere ciò che ha perduto e all’allora grazie ha
un processo ancora misterioso, si mette in cerca della
direzione approssimativa che deve prendere. Da quel momento il
gatto ricorre al metodo di apprendimento per prove di errori,
avanzando per mezzo di una serie di associazioni visive,
olfattive, acustiche o di altro genere. Esso cerca un suono
noto, per esempio di campane, degli odori conosciuti, delle
strade già percorse. In altri termini, il gatto mette in
funzione la sua memoria associativa. Di indizio in indizio,
ritornando, se è il caso, sui propri passi esso finisce per
raggiungere la meta…. purché questa non sia troppo lontana.
Questa spiegazione risulta meno convincente quando il gatto
percorre distanze enormi, oppure quando raggiunge il suo
padrone in un luogo nel quale non era mai stato. |