Presentazione del libro
Si può essere maschi, adulti,
eterosessuali e innamorati alla follia dei gatti? No, secondo
Tom Cox, giovane critico musicale inglese e accanito gattofilo.
Tom ha provato per una vita intera a sembrare un tipo normale,
tutto pub, sport e rock, ma non ce la fa: appena vede un gatto
per strada, si tuffa sotto le auto e nelle siepi per poterlo
accarezzare. E anche gli amici più disinvolti finiscono con il
consoderarlo un po’ strano. Nell’Uomo a ventiquattro zampe,
che è assieme la sua scanzonata biografia e quella dei suoi
gatti, Tom prova a ritrovare l’origine di questa sua passione
felina. Dal “peccato originale” del gatto che potrebbe
aver ucciso al legame profondo con il primo vero gatto della
sua vita. Dagli incontri occasionali – ma appassionati – con
vari felini londinesi a quello con la sua anima gemella, Dee.
Che è di razza umana, per una volta. Ma gattomane anche lei…
A questo punto, la situazione precipita. Nella vita di Tom e
Dee entra in rapida successione una sfilza di gatti:
l’affettuosa ma un po’ ottusa Janet e lo psicotico ma
amatissimo L’Orso. Poi Brewer, Prudence – presto ribattezzata
Ralph – e Shipley, di soli dodici mesi: per non lasciarli soli
i novelli sposi rimandano addirittura la luna di miele. E si
trasferiscono nel profondo Norfolk, a 15 chilometri dal più
vicino supermercato: non ci sono pericoli, è l’ambiente ideale
per i gatti. Sì, ma per gli umani? Dopo pochi mesi di serate
di lettura vicino al camino e altre godurie rurali, Tom e Dee
sono sull’orlo di una crisi di nervi. Comincia così una lunga
serie di traslochi, uno più rocambolesco dell’altro, in cerca
di una casa che metta d’accordo tanto i gatti quanto i loro
proprietari. Mentre due nuovi set di vibrisse si aggiungono
alla famiglia e uno, ahimè, la lascia.
L’uomo a
ventiquattro zampe è l’esilarante e
a tratti disperato resoconto di ciò che può succedere quando
sei (o più) tra i gatti più carismatici, infidi, scemi e
adorabili del pianeta prendono possesso della tua vita.
Convincendoti ad abbandonare i comfort della vita urbana per
un’esistenza nomadica e disagiata, ma istruttiva: quanti sono
i modi per sbarazzarsi di topi, piccioni, lucertole e altri
cadaveri trovati sullo zerbino? Qual è la prima frase in
lingua umana mai pronunciata da un felino? Quanto amore e
morte, quanta depressione, isteria e peli volanti può
sopportare un uomo prima di porsi la fatidica domanda: il mio
gatto è un genio del male?
L’autore
Tom Cox (Nottingham 1975) è
stato giornalista musicale per il quotidiano britannico «Guardian»
e per la rivista settimanale «New Musical Express» prima di
licenziarsi per ritirarsi nella campagna del Norfolk con sua
moglie Dee e i suoi sei gatti. Ha pubblicato saggi musicali e
libri umoristici dallo stile scanzonato molto apprezzati, tra
i quali Nice Jumper (Agosto 2003), Educating Peter
(Agosto 2004), The Lost Tribes of Pop (Ottobre
2006) e Bring Me the Head of Sergio Garcia (Settembre
2008).
Incipit
del libro
Mi chiamo Tom, adoro i gatti e
circa trentatré anni fa quasi sicuramente ho contribuito alla
morte di uno di loro.
Tutti conoscono la «gattara». È un cliché sociale, un apologo
morale, un personaggio che, quando cominciò a comparire come
personaggio nei
Simpson,
era già così famoso da non aver bisogno di essere presentato.
È la donna senza figli che permette alla sua ossessione per i
gatti di prendere le redini della sua vita, a scapito prima
dell’igiene domestica e poi di quella personale. In realtà,
come stereotipo mi sembra un po’ ingiusto. A pensarci bene,
non esiste una corrispondente specifica figura del «cagnaro»,
inteso come uomo amante dei cani. Anzi, sembra che il
messaggio sottinteso sia: il migliore amico dell’uomo lo
aiuterà ad attraversare con dignità l’autunno della sua vita,
mentre quello della donna la aiuterà a trascorrere il suo in
un supermercato, emanando un odore leggermente muffoso e
spingendo un carrello con dentro una pagnotta integrale,
qualche retina per capelli, una confezione di prosciutto
tagliato sottile e ventiquattro scatolette di Whiskas.
Ebbene, anche se il «cagnaro» è un fenomeno meno diffuso, vi
assicuro che esiste e che sa essere ossessivo almeno quanto la
sua controparte femminile. Sinceramente, non credo di essere
del tutto
matto. Magari casa mia puzza un po’ quando non passo
l’aspirapolvere o non guardo sotto il divano per qualche
giorno, ma di certo non rappresenta un’emergenza sanitaria. È
vero, una volta ho messo la cravatta a uno dei miei gatti
mentre dormiva, ma non ho mai comprato loro vestiti né li ho
mai chiamati «batuffolini». Al momento ne possiedo sei – e
quanto a costi di gestione a volte è un po’ come vivere con
sei versioni in miniatura di Mariah Carey – ma quasi
sicuramente, prima che abbiate finito di leggere questo libro,
un’altra narcisistica palla di pelo avrà pensato bene di
intrufolarsi in casa mia, decidere che non è niente male e
prendere possesso di una delle apposite amache appese ai
termosifoni. Con molta probabilità imparerò anche a ignorare
il verso disgustoso, a metà strada fra uno sbuffo e una
scoreggia, che emetterà pulendosi il didietro. È già accaduto
in passato, e sono certo che accadrà ancora.
Dirvi questo suona stranamente come una confessione. Ma non
capisco cos’abbiano i gatti per suscitare la diffidenza di
così tanti maschi. E perché i maschi amanti dei gatti siano a
loro volta guardati con sospetto dalla maggior parte della
gente. Di quali complotti sono accusati i nostri fratelli
gattari? Di piccole congiure pelose finalizzate alla rovina
del genere umano? Se sei un maschio eterosessuale, confessare
la tua passione per i gatti a un altro maschio eterosessuale è
un po’ come dirgli che dormi ancora con l’orsacchiotto di
peluche di quando eri piccolo, o che trovi
delizioso
il
suo gilè fatto a maglia. Eppure le statistiche non
rispecchiano affatto l’immagine popolare del gattofilo come
reietto della società: ci sono oltre nove milioni di gatti nel
Regno Unito (verosimilmente oltre un miliardo nel mondo
intero), e con molta probabilità in questo stesso momento
molti di loro si stanno facendo grattare sotto il mento o
stanno esigendo bocconcini prelibati. Non è logico pensare che
siano sempre e solo donne a viziarli.
Chi siamo allora noi gattofili? Siamo forse tutti cospiratori
modello Dottor Male? O tutti pensionati coi mutandoni e col
divano macchiato di urina intenti a sfornare biscotti pieni di
peli? Travestiti che di mestiere vendono libri usati? Siamo
tutti (solo pronunciare la parola mi fa venir voglia di
soffiare e rizzare la coda)
metrosexuals?
Forse sì, ma non solo. Perché siamo anche grandi romanzieri
americani (Mark Twain), massacratori di demoni (Anthony Head,
la star di
Buffy l’ammazzavampiri),
matematici (Isaac Newton) e leader politici di fama mondiale (Winston
Churchill). Potete anche cercare di infilarci in una lettiera
ma, come i nostri alleati a quattro zampe, fuggiremo, ci
scrolleremo con noncuranza e alla fine faremo quello che ci
pare. Alcuni di noi nascondono il loro amore per i gatti.
Altri al contrario lo spingono un po’ troppo in là. Altri
ancora sono individui normali per i quali voler passare del
tempo con l’animale domestico più diffuso del pianeta non
equivale alla castrazione. E che non usano l’amore per i gatti
né come metafora né come compensazione.
Però bisogna ammettere che alcuni di noi hanno quella che uno
psicoanalista potrebbe definire «un’anamnesi felina». Per
ricostruire la mia, bisogna tornare alle origini. Ma
davvero
alle origini.
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